mercoledì 26 dicembre 2012

A somma zero



vapore d'anima si condensa fra i tasti di un piano scordato e sofferente.
la ragione, mandata a farsi maledire.
Lui aveva sistemato tutti gli oggetti della sua esistenza a prendere polvere sul corpo di lei.
Un corpo, oggetti e nulla più. Cose a cui assegnare importanza strumentale, arbitrariamente schematica.
Cerca in ogni minuto spasmodico la felicità sotto ad ogni oggetto, ricordando l'illusione di quando sotto ogni cosa, restava lei. Come un àncora di formalità, lei. Bella e forse mai esistita. 
Una partita a poker estenuante, di sudore freddo e sigarette e moquette che sa di routine e di loro.
Far di conto e ritirarsi solo quando il gioco torna a somma zero. 
Giocare d'azzardo, bestemmiare, fumare, bere e chissà che altro. Vizi brutali, negli schemi della brava gente. Ma c'è di peggio, socialmente accettato come libero arbitrio o peggio come amore. Che stronzata! Schema.
Dove sono aspirazioni ed energie? Puntare a cosa, puntare a chi? 
Resta il flusso naturale di lacrime incanalate dalle dita ad uno strumento per scrivere. Non c'è intento, non c'è incanto. La salvezza dall'ego, o lasciarsi logorare fino a scoprire d'essersi confezionati da soli la dose più letale di fandonie, per raccontarsi d'essere cambiati in meglio? 
Scegliere. Di rischiare, pescare una carta, perdere per provare a vincere. Scegliere. Una strada dentro sè.
Capire volontà ed essenza del sé fino a scoprirsi sorridere con gli occhi che scavano l'orizzonte vitale. Senza paura, senza angoscia, al netto della solita ansia.

O fermarsi a somma zero.

giovedì 20 dicembre 2012

Sproloquio #4


sento così impellente il bisogno di lasciare tracce. analogici graffi, scarabocchi o bit.
dentro, come il fuoco e la benzina, l'ariete e il leone. che litigano sul campo di battaglia dell'anima.
desidero solo che in me ci sia un minimo di pace. riposo per la mente e per l'anima. non mi importa di niente. fosse liberarmi di uno schema mentale, fosse riuscire a soddisfarlo. ma non posso continuare a vedersi torcere tutti i singoli organi nella digestione dell'ingiusto che resta lì.
Voglio un soffio d'anima pura, un sorriso che non celi nulla e che sia completamente votato a me. perchè sono io.esserne trascinato via. Spessore, ragionevolezza e complicità. e chiedo tanto,si; sarà come quei dischi in vinile introvabili per cui bisogna attendere tanto. nell'attesa te li ascolti su youtube, e poi in testa, ma di certo non vai a comprarti l'ultimo dei Coldplay tanto per ingannare l'attesa.
Quando i Coldplay e tutto quello che tira, ti fanno schifo.

sabato 15 dicembre 2012

Joss



Sposava la camomilla con le sigarette Joss.

Temeva temeva e tremava.

al pensiero dei matrimoni.

Apriva il suo piano, picchiettava sui tasti con la mano destra e la sinistra poggiata sulla gamba. picchiettava note fantasma afone. 

Apriva il suo computer, scorreva pagine e volti, inespressiva lanciava una canzone col pitch sbagliato.
le palpebre inerti, i bulbi in fiamme.

Gettava via la fascia per capelli. Imprecava Joss, fumando e tornando ad incrociare gli avambracci a riposo.

Tornava al computer e si scopriva a temere ogni link, ogni foto, ogni argomento, battuta.

Temere temere temere, fino ad alienarsi in un buco nero distorto che si morde la coda, così Joss tira giù il bicchiere di whisky, tossisce e resta a guardare l'alone alcolico traslucido: "aaahh ma che cazzo". 
Joss non beveva, ma che stava facendo?
Joss le provava tutte,
Joss sperava l'insperabile senza nessuna speranza o voglia, ma ci pensava ancora.
Joss metteva su "the last straw" e si strappava con violenza le unghie coi denti, sputando via coriandoli di chitina e selenio smaltati
Rossetto vivido, ma inedito.

Tre doppie note ora sul piano senza trasporto, segni rossi fra il bianco e il nero, Joss geme, trema tre doppi singhiozzi e piange.
Un colpo secco sparge fogli di note più in là sul pavimento, secco come a togliersi i capelli rossi dal volto ad evitare di bagnarli di sale; un colpo per mostrarsi meglio piangere al suo orgoglio nascosto forse dentro al mobile del piano.



Un pugno sul coperchio del piano, vola il bicchiere di cristallo al centro, si frantuma a grossi pezzi.
Sale malferma e scalza sul coperchio, immagina di ballare ancora una volta per lui alla pertica; s'aggancia al lampadario ed è semplicemente bellissima, pallida, ossea, livida e ancora più bella, chiude gli occhi: piangendo segue le ombre proiettate dal lampadario, ondeggiando il suo tormento, squarciandosi i piedi.

Cade.
Giù, saluta i tasti in volo con occhi di basalto spalancati.



In un letto di fogli e note torna la ragione, duetta con sé stessa perché una voce non le basta a sussurrare "addio" a quella speranza.
Una voce dalla ragione, una più flebile e poco più lenta, dal cuore.
Un tempo disparo e sincopato, poi cinque righe spoglie; Joss dorme e domani… 

mercoledì 12 dicembre 2012

enituor


Il letto pesante sopra di me, l'acqua partorisce un lavandino. La macchina mi guida alla stazione.
Binari di cavi sopra i convogli, i passeggeri informano la macchinista che il treno è in ritardo.
Ruote girano in senso orario, il treno corre a sinistra. Si ferma.

Uomo losco in giacca e cravatta da l'elemosina ad una mendicante.

Le scale mobili scendono te immobile.

Notiziario: membro della curia accusato di pedofilia, imprenditore scende in campo per
il bene del paese, giudice invoca il ripristino della legge di natura.

Altro treno, altro giro.

Le scale mobili salgono te immobile.

Sanpietrini accompagnano eterni mille passi, inerti ripiani accoglienti raudi che
esplodono bambini; fumo di zolfo si appoggia a terra, bestemmie di passanti.

Un citofono strombazza nell'orecchio alla receptionist, il cappotto sputa le braccia.

Buongiorno a tutti

domenica 9 dicembre 2012

Esci... (25/8/2009)


...invece no, resto quì a contemplare il mio personalissimo nulla tra sigarette ed un pessimo brandy. 
Le serate come questa mi rendono come un buco nero che inghiotte persino la luce altrui.
Provo a riprendere contatto con me stesso in un limbo della ragione indotto.
Niente... la rata mensile, il saldo delle responsabilità che ti sei preso.
Non c'è proroga.
Non bramo che la comprensione che solo il genere femminile può dare, un caldo abbraccio che mi faccia solo sentire vivo prima di rimettere su quella maschera per fingere e proteggermi da quel mondo così crudelmente reale.
Domani fingerò? Domani passerò in rassegna questi anni o farò di tutto per bruciarmi la memoria così da prendere tutto come un bambino per continuare a credere nell'amore o tutte quelle belle cose? 

Se questa fosse la fine della gioventù, vorrei che fosse l'ultimo lusso che gli sia concesso. 

Non sai fino in fondo quello che vuoi, no non lo sai....

venerdì 7 dicembre 2012

Il mio ricordo di Mirko

Caro Mirko, anch'io avevo avuto l'idea di intitolare questo post con qualcosa tipo "compitini per casa: tema, ecce ecc...", ma a quanto pare sei arrivato prima tu e chi tardi arriva male alloggia, per cui, non potrò far altro che accettare il ruolo di ricopiona. Poi va a dire che non ci assomigliamo!
Però l'idea di scrivere un ricordo l'uno dell'altro è stata mia, per cui...GNE' GNE' GNE'!!!
Ma ero così competitiva pure da piccola? Avoja!

Bene, lasciando da parte questa inutile introduzione, cominciamo a scavare un pò nella memoria...
Alle elementari non ci penso mai, per anni ammetto, non ci ho mai pensato. L'unico personaggio che davvero mi ha assillato ancora per qualche anno seguente al quinquennio, è stato Luciano, uno spassoso bambino autistico che ha avuto per lungo tempo forti influenze sulla mia di spassosità, a cui forse più in là dedicherò un post.

Mi piacerebbe poter dire che i miei ricordi delle elementari sono così semplici, limpidi e giocosi come dovrebbero, almeno quelli, come il fermoimmagine di un film appena uscito al cinema. Eppure il tempo, o forse la verità di un passato non leggero come vorremmo dipingerlo oggi, scombina i fili delle trame dei nostri periodi più lontani. Così interviene la filologia della mente ad estirpare i frammenti di sogno e a riportare alla luce quelli sepolti sotto questo multistratificato suolo che abbiamo calpestato nella vita.

Ma la faccia rotonda di Mirko, su quella tela sfilacciata, mi ricompare facilmente, rotonda e rossa, un  tutt'uno con i suoi occhiali rotondi e rossi. Già, alla fine vincono i sogni e ti ricordi l'impressione di Mirko.
Ti ricordi gli occhi strizzati in un sorriso e la sonorità esasperata e strozzata di una risata che voleva lasciar intendere di giungere fuori proprio dal profondo di lui. Mirko non rideva di cuore, Mirko rideva d'intestino. Ed infatti nessuno come lui sapeva accogliere con ironia ed entusiasmo le trivialità che, come dice lui, mi riportavo a scuola dal quotidiano, e lui, naturalmente ne aveva sempre per tutti. Mirko diceva delle schifezze geniali ed era il miglior estimatore possibile delle schifezze sfornate dalle altrui cloache.
Mirko era il bambino più intelligente della classe e i suoi temi erano quelli che più di tutti facevano tremare il cuore e le labbra della maestra Giovanna. Spesso, come me, era costretto a leggerlo ad alta voce davanti a tutta la classe, ma nessuno, neanche la maestra, era davvero pronto ad ascoltarli.
Le impressioni del bimboMirko, magari idee del tutto sbagliate; da piccola, quando pensavo a lui, lo immaginavo, a ritorno scuola, in pomeriggi passati sullo sfondo di pareti bianco-grige e luci al neon, lui, una scintilla di progressismo nel buio dei Quartieri Spagnoli, che ogni tanto magari, riusciva a cancellare nelle sue risate gutturali.
Si, infondo i temi di Mirko parlavano di pavimenti e mura gelide, di panni svogliatamente appesi fuori in orari troppo tardi per potersi asciugare e di giacche bagnate lasciate cadere con flemma su una sedia silenziosa, al ritorno dal lavoro.

Mirko aveva una mente così affilata da essere tagliente e sapeva esprimere il disagio e l'altrui piccolezza con un sarcasmo troppo avanzato per un bimbo. Infatti sembrava un piccolo uomo, se non fosse stato per le guance rosse e gli occhiali rotondi come i miei, evidentemente scelti da una mamma, che Mirko, non sapeva come farlo restare un bambino.
Mirko che tra le macerie e la noia aspettava il suo asteroide. Mirko che rideva dall'intestino.



giovedì 6 dicembre 2012

Tema: Descrivi il tuo compagno di banco


6 dicembre 2012

Tema

Descrivi il tuo compagno di banco

Ho conosciuto Sara a 7 anni. E poi a 25. Faccio andare indietro la mente alle elementari e… "non è un compito di matematica: 7 è sette, 25 è venticinque". No, un momento non era questo l'importante.
Blog nostro, regole nostre, diciamo "licenza poetica".
Sara non era la compagna di banco fissa, perché la maestra una volta che sceglievamo i posti, questi erano stabiliti punto e basta. Sarà per questo che poi mi prendeva il magone quando mi mettevano al primo banco o alla cattedra se facevo il "pestifero"? 
Usavano questa parola. Boh, ricordo che non capivo bene, mi dava senso di "ferro da stiro".
Insomma le femminucce erano con le femminucce, i maschietti coi maschietti.
Ricordo bene che però ogni volta che c'era la possibilità, giocavamo insieme. Quando dovevamo fare i cartelloni in gruppi da quattro, lei c'era sempre! E mi divertivo da matti perché capivo che in qualche modo c'era una scintilla di pazzia condivisa, che di tutti quei bambini, noi due eravamo in qualche modo diversi: avevamo due facce come il giubbottino all'ultimo grido che aveva comprato mamma. Di quei giubbottini double face che poi in realtà ne usi sempre e solo una, che quella dentro non sei sicuro sia adeguadata, che si capisce essere "quella dentro" e i bambini poi, sanno essere cattivi e potrebbero scherzarti. Di certo eravamo scemi allo stesso modo.
Così io intuivo Sara, con l'intuito dell'infanzia. Una bambina che rideva, rideva sempre, da dietro agli occhialoni, simili ai miei. Io me la ricordo così, questa è la mia foto di Sara, direttamente dall'archivio bruciacchiato e malandato dell'infanzia. Una bambina che mi piaceva, lo ammetto, ma perché era un'amichetta straordinaria e di conseguenza non ho ritenuto di scriverle letterine d'amore, ma piuttosto amicheggiare con lei! Aveva la capacità di trascinarti e di non farti mai mai mai sentire la noia. Aveva sempre qualche fesseria da dire, pescata dal suo quotidiano fuori scuola e portarla dentro scuola. 
Però l'ho vista riflettere quando non se ne accorgeva: l'espressione così seria suggeriva che la mente la portava lontano, lontano… Ero un bambino, non avrei saputo dirle "a penny for your thoughts" come dicono gli inglesi, ma oggi lo farei, se la vedessi così lontana. Perché lo farei? 
Perché magari non se la prenderebbe e forse potrei distrarla e riportarla in mezzo a noi: vista quell'espressione, potrebbe far male quel viaggio lontano… da fermi. E poi scriveva quei temi, mio dio… Non erano mica esercizi di stile, si sentiva che c'era tanto sotto, che rendeva curiosi di penetrare il suo sorriso, che riservava a tutti, e carpire ciò che era riservato a pochi o a nessuno se non a lei. Ma ero solo un bambino, e poi i maschietti sono sempre più stupidi a parità di età, lo dice anche il libro di psicologia dello sviluppo che sta di là.
L'ho vista anche piangere, non ricordo perché e quando, ma ricordo di aver avuto tanta empatia; al di la del perché, a me colpiva che piangesse in un modo che sembrava il mio. Di millemila modi possibili, il più vicino al mio.

Che cosa si dicono i bambini che si salutano quando finisce la quinta elementare? Io non lo so e di certo non me lo ricordo. Ricordo di esserci salutati in preadolescenza, alla fine della quinta elementare. Non c'è un motivo, è quell'inerzia lì che capita a tutti. Insomma proprio fra elementari e medie c'è stato un forte stacco e non ho visto più nessuno, mi pare. Già alle medie, ho ritrovato poi amici alle superiori. 
Le vite scorrevano e lo facevano così forte che non ci avresti creduto se te lo avessero detto.
Ma ogni tanto, il pensiero mi veniva: chissà che fa Sara? Come la pensa, come e CHI/COSA è diventata. Mi eviterebbe così capellone e borchiato? Resterebbe delusa della mia rinuncia agli studi? Chissà se si è laureata ora che sono alla SECONDA rinuncia agli studi. Si, di sicuro lei studierà lettere, era così brava coi temi...

Il grande fratello, colui che tutto e tutti vede e tutto di tutti sa, il padrino delle pizzerie, incubo degli ex-compagni di classe timidi, complessati e asociali: Facebook. Ha cominciato a fornire le risposte, in un periodo buio in cui ho pensato "ma si, sentiamo che dice Sara".
Che bello! Non mi sarei mai sognato di fare una cosa intima come telefonarle a casa, quindi devo ammettere che in questo caso Facebook è stato provvidenziale.

Flashback: bimboMirko e bimbaSara facevano la festicciola insieme a scuola perché, questi due bimbifreak della natura, erano nati lo stesso giorno: il 1 aprile 1987.

Da qui, l'idea di Ariete contro Ariete. 
Due Arieti, due "pesci" d'aprile, due ascendenti di cui il mio è il Leone. E saturno contro, forse, e chissà quale altra diavoleria astrologica.
E ora basta anche così, della Sara 25enne potrà parlarne meglio la diretta interessata. Sono contentissimissimo di aver ripreso l'amicizia con lei e di aprire un blog a due con una ragazza, con lei: è un'esperienza nuova e stimolante per me.
Ci leggerà qualcuno? Chi? C'è qualcuno là fuori? Vado molto fuori tema, malsopporto gli schemi, magari tolgo poi qualcosa in bella copia. Che non mi va di fare, perché non le ho mai fatte e solo la maestra Giovanna lo accettava. Non le supplenti, non le altre insegnanti, lei si, perché capiva che io avevo bisogno di concentrarmi sul contenuto. E poi, a me, gli scarabocchi piacevano e piacciono così tanto… 
Maestra Giovanna semmai leggerai, io devo dirti GRAZIE. Di tutto. Hai costruito una persona pensante, formando un bambino "parlante". Tutto quello di buono che ho fatto è un merito che puoi aggiungere alla tua carriera, ammesso che questo la onori. Questo blog è dedicato a te.

mercoledì 5 dicembre 2012

E io dov'ero?


Tu mi ami e mi hai detto "Non devi fare la fine che ho fatto io. Tu devi diventare qualcuno." 
Le persone che mi amano si augurano per me che io diventi qualcuno. Pensano che così io sarò felice.

Per quanto immenso il nostro è un amore piccolo di persone piccole, che vagano e corrono verso mete e si adoperano nervosamente per tappare tutti gli spiragli sul vuoto dentro le forme.

L'assaggio infernale del vuoto sembra una maledizione senza nome, una verità informe e inconfessabile, quello scabroso segreto di famiglia da nascondere dietro facciate sorridenti. 

Le persone che mi amano mi augurano di dipingere la mia maschera con nozioni da memorizzare e titoli da anteporre al mio nome.

E io non so chi sono.

Le persone che mi amano desiderano che io sia sempre quella foto che un giorno mi scattarono. 
Loro non sanno che mi vogliono morta.

Infondo il nostro è un piccolo amore, infondo vogliamo essere delle fotocopie di modelli lanciati dall'alto delle istituzioni e ancor più dal passato della nostra sedimentazione "culturale". 

In tal caso la cultura ci uccide. E uccide le nostre piccole persone che non sanno neanche di poter volare, pertanto, non arrivano neanche a desiderarlo.

Noi non siamo liberi, e persino il nostro piccolo amore è una costrizione, un salvagente per non affondare nella melma del vuoto. Una squisita pozione che noi stessi abbiamo creato, dimenticandoci di noi stessi.

Abbiamo paura di essere noi stessi, abbiamo paura di vivere questo momento, ovvero l'unico che esiste; quindi abbiamo paura di vivere.

Una volta compreso con orrore il vuoto che abbiamo creato in noi e riso amaramente delle maestose costruzioni che gli abbiamo costruito intorno, forse per essere felici, bisogna avere il coraggio di deludere gli altri. 

Strappare quella foto davanti a te e dirti "io sono qui! Non cercarmi nel futuro o nel passato." Li troverai dei simulacri, li troverai le tue proiezioni mentali. Li troverai la gabbia di cui non vuoi aprire il lucchetto.

Siamo felici della nostra prigione personale, de nostri confini, dei nostri schemi. 

L'autodefinizione e la definizione altrui sono illusioni, ma senza ci sentiamo persi. 

E' una vita che lotto per assomigliare sempre più a quella foto, e quando mi accorgo che ognuno di voi me ne ha scattata una, mi sembra di impazzire. 

Anch'io mi sono scattata una foto tanti anni fa: era la persona che volevo essere allora ed era anche un pò la persona che voi sognavate che io fossi. Che strana coincidenza!

Inseguendo quel modello di Sara mi convinsi sempre più che quella era e doveva essere Sara.
...E io dov'ero? Dove sono stata per tutti quest anni? 

Ecco che cos'era quel vuoto. Se fossi una come molti di voi non lo avrei neanche sentito, oppure avrei fatto finta che non ci fosse. Ecco cos'era quella nausea di vivere, quella nausea d trascinarsi inutilmente nei propri impegni. Gli impegni per essere Sara.

Ma allora io non sono una pazza. I pazzi siete voi e devo avere il coraggio di deludervi.

Amate il mio essere e non le mie foto sul comodino, che poi quelle quando le guardo, vedo un corpo che non c'è più e mi vien da piangere.

Gioite della mia felicità presente così io farò con voi. Spero.

Purtroppo sono da sempre ossessionata dal pensiero della morte. Come farò?

Come sto facendo adesso. Sono già morta. Morta nell'angoscia della preparazione, nell'angoscia dell'attesa, nell'angoscia del domani. Nella tua e nella mia foto.

Sono già morta più volte, infinite volte in innumerevoli giorni di ansia.

E invece tu mi hai augurato di diventare qualcuno.

Oggi con le stesse parole avresti trafitto questo mio precario stato di insofferenza.

Quel giorno, mentre qualcosa, il mio essere, si preparava alla ribellione, lanciandomi segnali di cui non capivo la provenienza, ti risposi piena di gratitudine: "lo farò per te".

Il nostro piccolo amore.

Prove tecniche di trasmissione



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